CAPITOLO 11

 

Misero a posto i fascicoli, richiusero il faldone, entrarono in casa. Il sole stava tramontando, in lontananza si vedevano le luci della città fare da contrasto al rosso vivo del cielo. Di lì a poco sarebbe scesa la notte.
Il questore domandò al commissario:
“Stanotte ti fermi qui? Ti faccio preparare la camera degli ospiti?”
Ma Boschi rispose:
“Grazie signor questore, lei è molto gentile, ma vorrei ripartire subito.”
Il questore non replicò. Conosceva troppo bene il suo allievo e protetto, così gli domandò:
“Hai già preso il biglietto per il ritorno?”
“Ancora no, ma conto di acquistarlo in stazione.” Magnani si alzò dal divano, prese il telefono, chiamò il dirigente della Polizia Ferroviaria, parlarono per pochi minuti. Si avvicinò al commissario e gli disse:
“Il tuo treno parte a mezzanotte e sedici, hai un posto prenotato sulla carrozza n. 9. Domattina alle sette e mezzo sarai a Pescara. Ora godiamoci la cena.”
La moglie del questore, da sempre animata dalla passione per la cucina, aveva accolto degnamente il loro ospite: uno squisito antipasto con carpaccio di funghi, taleggio e salumi del posto, quindi una generosa porzione di pasta al forno, a seguire un arrosto misto in salsa al vino rosso. Concluse la cena un tortino al cioccolato e caramello, seguito dal caffè. Il commissario era sempre il benvenuto in casa Magnani, fin da quando, giovane agente scelto, aveva mostrato le sue doti investigative e strategiche. Il vicecommissario lo trattava come un figlio. Ed ora, a quattordici anni di distanza, le cose non erano cambiate. Lo stesso feeling legava i Magnani al giovane commissario.
Era ora di andare. Il commissario sistemò il faldone nella borsa, salutò la signora Franca (“torna quando vuoi, sai che questa è casa tua”) e salì sull'auto del questore. In poco tempo raggiunsero la stazione, a quell'ora il traffico era scarso, così Boschi ne approfittò per offrire un digestivo al suo amico e superiore. Uscirono dal bar, quindi passarono al posto di Polizia Ferroviaria a ritirare il biglietto. Boschi prese il portafoglio per pagarlo, ma il questore lo trattenne:
“Non provarci. Questo è un regalo della questura.”
Il commissario sapeva che non era la verità, Magnani aveva voluto pagare personalmente il viaggio di ritorno. Boschi lo abbracciò, lo guardò negli occhi e gli disse semplicemente:
“Grazie.”
Il Frecciabianca lo attendeva sul binario n. 6, pronto a partire. Il commissario salì a bordo, quindi raggiunse il posto che gli era stato assegnato e si dispose a riposare. Fece appena in tempo a salutare il questore, il treno si era messo in movimento. Boschi chiuse gli occhi, deciso a godersi quelle ore di riposo, ma capì che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Il pensiero di quanto aveva scoperto lo tormentava: il passato tornava a sbarrargli la strada, a proporgli una nuova sfida, sapendo che lui, ancora una volta, non si sarebbe tirato indietro. Nathan Suzette, Ahmed e Fahrid Kahlgibran, i due cinesi, la fabbrica dei Di Silvestro...quanti collegamenti avrebbe ancora scoperto?
Nel turbine dei pensieri che gli affollavano la mente, capì quel che avrebbe dovuto fare l'indomani. Era assolutamente necessario parlare con gli impiegati feriti, augurandosi che fossero in condizione di poterlo fare.
Con questa certezza finalmente si addormentò.
Si svegliò come se fosse stato reduce da una lunga notte di sonno, al punto che un dubbio lo assalì: e se avesse oltrepassato la stazione di Pescara? No, l'orologio nella sua mente lo avrebbe di certo avvertito, come da sempre gli capitava. A conferma dei suoi pensieri, sentì la voce dello speaker annunciare che il treno stava entrando nella stazione di San Benedetto del Tronto. Ne approfittò per prendere un caffè dal carrellino-bar che aveva cominciato a percorrere le carrozze del treno, di certo quel caffè non era eccelso, ma al commissario sembrò addirittura insuperabile.
Trascorse la restante parte del viaggio giocherellando con un cruciverba, finchè alle sette e ventitrè, come da orario, il treno entrò nella stazione di Pescara Centrale. Il commissario scese, percorse le scale a passo svelto e raggiunse il bar, dove la mattina precedente aveva consumato la colazione pochi minuti prima della partenza. Il barista non era cambiato, aveva riconosciuto il commissario e gli disse:
“Lei è fortunato, arriva al mattino presto e trova i cornetti migliori!”
Non poteva certo immaginare la spola alla quale il commissario si era sottoposto in quelle ore, né Boschi pareva intenzionato a confidarglielo.
Terminò la colazione ed uscì dall'atrio, raggiungendo il parcheggio della Polfer. Salì sulla sua auto e si mise in marcia per raggiungere il commissariato. Non aveva intenzione di passare a casa, sebbene una doccia sarebbe stata la benvenuta. Era indispensabile organizzare subito la giornata.
Erano le sette e quarantacinque, l'ora giusta. Si mise l'auricolare e chiamò Palumbo.
“Pronto.”
“Parlo con il vicecommissario che sta sorbendo la sua tazza di caffè al Bar delle Palme?”
“Mario! Dove sei? Stavo per chiamarti!”
“Sono a Pescara, sono appena tornato e sto venendo in ufficio. Chiama Vicari e Martella, vi voglio in ufficio da me tra dieci minuti. Dì a Grossi di tenersi pronto con un'auto di servizio.”
“D'accordo, ma di che si tratta?”
“Ti spiegherò tutto quando arrivo.”
Quando arrivò in commissariato trovò tutto come aveva chiesto. Nel suo ufficio, attorno al grande tavolo per le riunioni, lo attendevano Palumbo, Vicari e Martella. Grossi stava sulla porta, pronto a partire.
Boschi li fece sedere, poi chiamò Menichelli:
“Telefona al Bar delle Palme e fai portare il caffè per tutti. Magari anche due dolcetti.”
Ai colleghi che lo guardavano stupiti disse:
“Al mattino è bene far colazione, no?”
Presero il caffè senza dire una parola. Capivano che il loro capo aveva importanti novità.
Il commissario spostò la tazzina, emise un lungo sospiro e cominciò.
“Vicecommissario Palumbo, ricordi che da quando sono arrivato, poco tempo fa, ci siamo occupati di svolgere indagini su due casi distinti?”
“Certo. Tu stai lavorando sul caso dell'esplosione della fabbrica dei Di Silvestro ed io sul caso del filippino precipitato dal palazzo.”
Boschi sorrise sornione, poi replicò:
“Giusto. Ma i due casi non sono così distinti come può sembrare.”
Tutti lo guardarono sorpresi, poi Palumbo domandò:
“Che vuoi dire? Che ci sono dei collegamenti?”
Il commissario, con voce calma, replicò:
“Non solo. Sono due braccia dello stesso corpo. In altre parole, tu ed io stiamo seguendo la stessa indagine.”
Vicari e Martella si guardarono: il loro capo era un genio oppure un matto totale, non c'erano vie di mezzo. Che razza di collegamento poteva esserci tra un'azienda saltata in aria ed un poveraccio morto a causa di una caduta dal decimo piano di un palazzo?
Palumbo era sempre più stupito. Con voce calma e piatta disse al commissario:
“Forse è il caso che ci racconti tutto. Partendo dalle origini.”
Boschi capì che la cosa sarebbe stata lunga. Chiamò Menichelli al centralino e gli disse:
“Per favore, non passarmi nessuna chiamata, non passarle nemmeno al vicecommissario Palumbo, né all'ispettore Vicari. Rispondiamo solo al questore, non passarmi nemmeno il dottor Riti.”
Si dispose comodamente sulla poltroncina, poi diede inizio al suo racconto.
“Come voi forse sapete, io mi trovo qui a lavorare con voi in seguito ad una mia precisa richiesta. E' una sorta di premio che mi hanno voluto dare. Quattordici anni fa, quando ero un agente, ho fatto parte della squadra del vicecommissario Achille Magnani.”
Vicari lo interruppe:
“Ho sentito qualche volta questo nome durante il telegiornale. Non è il questore di Torino?”
“Proprio lui. In quel periodo, come ho già detto, era vicecommissario e stava seguendo una delicata indagine su un traffico internazionale di armi. Un faccendiere venne arrestato proprio qui a Pescara, con una valigetta piena di soldi dei quali non seppe spiegare la provenienza. Era detenuto nel carcere di San Donato, ma presto manifestò l'intenzione di collaborare. Sembrava voler fornire delle piste fuorvianti e confusionarie, in realtà stava comunicandoci qualcosa in codice. Non voleva che si sapesse che era un infame. Io capii questo e lo dissi al vicecommissario. Fu il primo passo per giungere all'arresto dei capi, due trafficanti cinesi dal nome impronunciabile, scritto negli atti custoditi presso la questura di Torino. La base operativa era in Pakistan, diretta da un certo Kahlgibran Fahrid. In seguito a quell'episodio, il vicecommissario mi fece nominare agente scelto, poi mi spinse a studiare per il concorso da ispettore. Nel frattempo mi iscrissi all'università, in breve mi hanno fatto partecipare al concorso per vicecommissario e poco tempo dopo sono stato nominato commissario. Ma non è della mia carriera che voglio parlarvi.”
I presenti nell'ufficio seguivano con estremo interesse il discorso del commissario. Gli occhi vivi, in attesa di una notizia che sembrava potesse riempire la stanza da un momento all'altro.
“A pochi giorni dal mio arrivo mi sono messo ad aiutare il vicecommissario Palumbo e siamo stati in grado di dare un'identità al morto precipitato dal palazzo: Nathan Suzette, di origine filippina, ma cittadino americano.”
A questo punto Palumbo lo interruppe.
“Mario, non vedo quale sia la novità. Lo hai appena detto, abbiamo scoperto insieme l'identità di quell'uomo.”
Boschi replicò:
“E' vero, lo abbiamo scoperto insieme, grazie alla scheda segnaletica che ci ha fornito l'agente Zuccoli. Ma quel nome non mi persuadeva del tutto. Non ho voluto dir nulla, mi ero ripromesso di ripensarci andando avanti nelle indagini.”
Un altro sospiro, si vedeva che non amava parlare agli uditori (e qui si sentiva come se si fosse trovato nel corso di una conferenza stampa), quindi riprese:
“Dopo l'esplosione della fabbrica dei Di Silvestro, i vigili del fuoco hanno scavato senza sosta ed hanno riportato alla luce due importanti documenti. Il primo è un raccoglitore di fatture dell'ultimo periodo, che attesta una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, la correttezza e l'onestà dei titolari della fabbrica. Il secondo è un registro delle presenze dei dipendenti, assai più interessante per quel che ci riguarda.”
Martella guardò il commissario e domandò:
“Commissario, non avrà per caso trovato il nome di Suzette tra i dipendenti?”
Lo disse con assoluta serietà e la padronanza di chi sa quello che dice. Boschi capì che quel ragazzo avrebbe fatto strada. Aveva sbagliato il personaggio, ma non la sostanza delle cose.
“No, il nome di Suzette no. Ma scorrendo la lista dei dipendenti mi ha colpito il nome di un operaio. Si tratta di Kahlgibran Ahmed.”
Palumbo, Vicari e Martella a momenti cadevano dalle loro sedie. Il vicecommissario domandò:
“Ma Kahlgibran non è il cognome del responsabile della base operativa in Pakistan, della quale ci hai parlato prima?”
Il commissario rispose:
“Esatto. La stessa considerazione ho fatto io, quel nome mi ricordava qualcosa ed alla fine l'ho associato a quanto accaduto quattordici anni fa. Questo è stato possibile consultando gli atti delle indagini di allora, cosa che io ho fatto recandomi alla questura di Torino. Vi chiedo scusa per non avervi informato, ma dovevo avere la conferma ai miei dubbi. Solo il vicecommissario Palumbo era al corrente dei miei spostamenti ed io l'ho pregato di non dir nulla, d'altronde neanche lui conosceva il vero motivo di questo mio viaggio. Sono tornato due ore fa. Capirete come a questo punto diventi indispensabile sentire gli impiegati sopravvissuti alla tragedia.”
Li aveva messi al corrente di tutto. Si volle prendere un momento di svago, decise di testare il grado di preparazione e capacità del giovane Martella.
“Vi farò un'ultima domanda: sapete chi era il faccendiere arrestato a Pescara con i soldi?”
Martella guardò il commissario, quasi a voler chiedere il permesso di rispondere. Il commissario glielo accordò con un sorriso divertito.
“Nathan Suzette?”
Il commissario annuì. Di colpo Palumbo e Vicari esclamarono a gran voce:
“No!”
Boschi rispose:
“Invece è così. Molto probabilmente abbiamo trovato l'anello di congiunzione tra le due indagini.”
Si rivolse a Vicari:
“Prenditi Zuccoli, svolgete indagini in tutta Italia, aiutatevi con Internet. Dobbiamo sapere tutto, ma proprio tutto sulla situazione attuale di Fahrid Kahlgibran. Non è escluso che ci si debba andare a parlare.”
Quindi domandò a Palumbo:
“Novità dal colle? Che dicono i vigili del fuoco?”
Il vicecommissario rispose:
“Ho sentito Colasanti ieri mattina, poco dopo la tua partenza. Avrei voluto aggiornarti, ma mi avevi detto di non cercarti. Nel corso degli scavi sono stati ritrovati i corpi di Umberto e Filippo, erano quasi alla base della voragine. Dall'altra parte del colle, a circa centocinquanta metri dalla casa, è stato ritrovato il corpo di Massimo, il figlio di Umberto. Secondo i vigili del fuoco là sotto non c'è più nessuno. I volontari di un'associazione cinofila della zona hanno portato dei cani addestrati alla ricerca di persone scomparse, pare che non abbiano sentito nulla. Colasanti ha ordinato di scavare con i mezzi meccanici.”
Boschi riprese:
“E la Scientifica?”
Palumbo rispose:
“La Scientifica ci ha fornito un dato interessante, che in un primo momento hanno trascurato perchè noi non glielo abbiamo chiesto. Su quel brandello di plastica nera con le lettere it-ar, che tu hai visto il giorno dell'esplosione, è stata rinvenuta un'impronta digitale. Ora, come forse sai, le impronte di tutti i dipendenti della fabbrica, comprese quelle dei titolari, sono registrate presso la questura di Pescara, in quanto appartengono a persone che maneggiano (anzi, maneggiavano) esplosivi. Da un primo confronto sembra che quell'impronta non appartenga a nessuno dei sopravvissuti.”
Boschi concluse la riunione:
“Luca, andiamo in ospedale a sentire quei ragazzi. Martella, tu vieni con noi.”

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